
AGEO INFORMA - 28 aprile Giornata mondiale della sicurezza sul lavoro - Gravidanza e lavoro: proteggere ciò che è fragile, custodire ciò che è prezioso
28 aprile 2025Nella dimensione lavorativa di oggi, guidata da criteri di efficientismo e spesso irrigidita da schemi legali che assicurano, sulla carta, la conformità alle regole di strutture e risorse, la sicurezza è spesso misurata da norme tecniche e dispositivi materiali. Accanto alle questioni di rilevanza squisitamente architettonica (si pensi alle uscite di emergenza, all’ergonomicità degli arredi, all’agibilità dei servizi) e a quelle di competenza degli uffici per le cosiddette risorse umane (organizzazione di congedi, ferie, malattie etc.) per assicurare una effettiva garanzia dei diritti fondamentali occorre rafforzare una forma di sicurezza più sottile, invisibile ma essenziale: quella psicologica ed emotiva. Si tratta di una declinazione del più ampio diritto alla salute e alla dignità nell’esercizio del lavoro, specialmente importante per il genere femminile. Molte donne affrontano la propria gravidanza in silenzio, con timore, spesso senza tutele adeguate. Nel mio lavoro di ginecologa, mi accade frequentemente di incontrare lavoratrici le quali, sebbene abbiano desiderato tutto il cuore la loro gravidanza, vivono tale situazione come un fatto da nascondere, da gestire “con discrezione”. Alcune di loro hanno contratti precari, altre lavorano in contesti poco empatici, dove l’idea della maternità è ancora associata a un rallentamento, a un’interruzione di efficienza, tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico. La sicurezza, per queste donne, non è solo un diritto da rivendicare ma una necessità quotidiana che spesso è scarsamente garantita. Eppure, oggi più che mai, una gravidanza è un dono di valore incalcolabile. Non solo per il significato personale e profondo che porta con sé - concepire un essere umano e donargli la vita - ma anche per il valore sociale e culturale che rappresenta in un Paese, l’Italia, segnato da una denatalità allarmante. Secondo i dati ISTAT 2023, nel nostro Paese la denatalità ha raggiunto livelli record: le nascite sono scese sotto le 380.000 l’anno, il numero più basso mai registrato. Non possiamo pertanto più permetterci di ignorare il valore e la fragilità del momento gestazionale. In paesi del Nord Europa, politiche di welfare estese, congedi equi e ambienti di lavoro realmente inclusivi hanno invece contribuito a stabilizzare i tassi di natalità, sostenendo la scelta genitoriale come un valore sociale condiviso e non un peso individuale da gestire in solitudine.
A questo si aggiunge una crescente “pandemia silenziosa”: quella dell’infertilità, che colpisce ormai una coppia su cinque, anche in età giovane. Le cause sono molteplici – ambientali, sanitarie, lavorative, emotive – e ci impongono una riflessione urgente. In un contesto simile, ogni gravidanza dovrebbe essere accolta come un segno di speranza, come un valore collettivo da proteggere. Le parole di Natalia Ginzburg, limpide e potenti, lo esprimono con semplicità disarmante: "Una gravidanza è sempre un fatto prodigioso. Anche la più attesa e la più cercata ha in sé qualcosa di misterioso e di vertiginoso. È un dono che cambia il modo in cui si guarda il mondo." E allora vale la pena domandarsi: quando abbiamo smesso di celebrare la maternità? Quando abbiamo trasformato la gravidanza da dono a problema, da evento sociale a questione privata, da momento sacro a ostacolo alla produttività? In molte culture del passato — e in alcune del presente — la donna incinta veniva onorata, sostenuta dalla comunità, tutelata nel suo ruolo di generatrice di futuro. Oggi, in troppi contesti lavorativi, ci si aspetta che la gravidanza venga nascosta il più a lungo possibile che non interferisca con il rendimento, che non diventi “una scusa”. Troppe donne, però, si trovano a vivere questo momento non come celebrazione, ma come un ostacolo. Soprattutto quelle che ricoprono ruoli dirigenziali, imprenditoriali o di alta responsabilità: spesso non possono, o credono di non poter, rallentare. Lo scontro non è solo con l’ambiente, ma con sé stesse. Ed è allora che dovremmo ricordarci che la maternità è un atto rivoluzionario. Non tanto per l’atto in sé di generare ma perché costringe la donna e il mondo a lei circostante a rivedere le sue priorità. Come scrive Vera Gheno, sociolinguista e voce attenta del nostro tempo: "In una società che pretende tutto e subito, la cura è un atto rivoluzionario." La sicurezza sul lavoro, allora, non può più essere solo questione di norme e di rispetto delle etichette. Deve diventare anche uno spazio culturale ed emotivo, in cui la maternità non sia più percepita come debolezza, ma come forza vitale, visione, continuità. Serve un patto sociale nuovo che metta al centro la cura, l’equilibrio tra vita e lavoro, e riconosca la donna gravida non come una “variabile da gestire”, ma come una portatrice di futuro. Costruire ambienti di lavoro davvero inclusivi non è solo una battaglia femminile: è una priorità per la salute del nostro Paese.
Dott.ssa L. Merlino
MD PhD Specialista in Ginecologia e Ostetricia
Centro Tutela Salute della Donna e del Bambino S. Anna - ASL RM 1 (Roma)
- Comitato AGEO giovani-
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